ISTANTANEA

Laura Pilone


Al mio caro Amico Sergio
con affetto e stima


Una sottile lingua di terra poco lontana dal confine con la Francia, la spiaggia di sassi e il mare che accarezza quel lembo di Liguria.

Di notte sulla passeggiata si vedono brillare le ammiccanti luci di Montecarlo, Mentone, e un sentore di Costa Azzurra vezzeggia il borgo di Vallecrosia. Sembra una promessa, un invito a quella dolce vita di cui troppo si è visto - forse perché così vicina - quasi si possano afferrare quei bagliori con una mano, racchiuderli, intrappolarli.
Forse. Per gli altri. Non per tutti. Non per chi nel mare è cresciuto. Non per chi ha quella Terra nel sangue.


Spira una tramontana fredda che smorza i primi caldi primaverili ma in fondo sono solo
le otto e mezza di mattina e il mare è un riflesso argenteo che ancora si deve svegliare sotto i
raggi del sole. Le auto passano lente, i primi saluti lanciati nell’aria, qualche pescatore che
controlla la barca tirata in secca, un’occhiata veloce per esaminarla ancora una volta prima di
passare la mano sul legno ruvido.
Le serrande del ristorante sono alzate a metà, quel tanto che basta per far entrare una
lama di luce a posarsi sui pavimenti, per avere ancora quelle poche e rare ore di quiete prima
del solito tran tran. La colazione con il pane appena sfornato, il caffè e lo sguardo che rincorre
gli echi della serata appena trascorsa mentre la mente vorrebbe volare già nell’altrove della
quotidianità, dei doveri, delle responsabilità, di tutto quello che si nasconde dietro a un sorriso
gentile. A fargli compagnia il ronzio della macchina del caffè e del frigorifero, lo strascico
delle voci dei passanti. Gli occhi scorrono veloci sulla sala.
I tavoli sono da sistemare, la tavolata di ieri ha rivoluzionato mezzo ristorante.
C’è da dare una bella ramazzata per terra. A che ora passa il fornitore? La signora Ada oggi vuole il persico...
Scuote la testa a scacciare quei pensieri per cui c’è tempo, per cui è già stato tutto
organizzato. Si è preso questo momento per un motivo, per avere quel respiro di mare che sente
mancare, prima della baraonda estiva, prima dei turisti e delle loro assurde richieste con i loro
“ma che vi vuole?”, quando non sanno come funziona l’orologio di una cucina, gli incastri sui
fornelli e nelle persone, i meccanismi che regolano la cottura e i malumori.
Che se sei triste diventa malinconica anche la pasta, perché loro non lo sanno che le
mani dei cuochi possono curare ma se sei arrabbiato si incazza anche il cibo.
La porta è rimasta aperta e un refolo salmastro gli accarezza le gambe. Il profumo della
salsedine, del mare, delle onde che si rincorrono spumose entra nella pelle. Un attimo ed è già
fuori, appoggiato allo stipite della porta lo sguardo rivolto verso il Mediterraneo.
Chiude gli occhi e aspira forte quella sensazione di vita.
Basta così poco in fondo per sentirsi vivi.
Lasciarsi andare ai ricordi, agli aromi di un piccolo posto di mare. Sembra quasi che il
vento porti un sentore della vicina e tanto amata Provenza, aleggia nell’aria – o forse nella
mente – l’inconfondibile fragranza di lavanda, gli occhi si riempiono di girasoli, di quella terra
fiera e rossastra.
Lo sciabordio delle onde lo riporta nel suo presente, il mare richiede la sua attenzione, a
ricordare che lui è lì, presente, tutti i giorni, tutte le notti, nei ricordi del passato e nei prossimi
che verranno. Immobile e sempre in movimento. Una presenza costante, compagno fedele dei
dolori, delle risa, dei sogni, delle speranze che vi si riversano dentro, giudice imparziale di tutte
quelle vite che scalfiscono appena la sua superficie.
Come si fa a non pensare a tutto quello che mi hai dato? Che continui a darmi dalle
tue profondità? E a quello che ti sei preso e che non hai mai ridato. Ai tuoi tesori che trovavo
tra i sassi. Alla tua indifferenza davanti a un uomo che vorrebbe solo comprenderti?
Perché quando il mare ce l’hai dentro, quando è nei tuoi primi ricordi, quando ci sei nato lo ami sempre.
Non è solo l’estate, il caldo, i bagni, gli spruzzi, i turisti, il divertimento,
la musica che esce prepotente dagli stabilimenti e regala quella falsa allegria.
No. È l’inverno freddo che taglia la pelle del viso con il vento, sono le onde sempre più
alte, sempre più rumorose. È la sua forza che scavalca inutili ostacoli per conquistare la
strada. Per ricordarti che sei poco cosa davanti a lui. Per ricordarti che la sua maestosità è lì,
per te, per sempre. Che in fondo anche tu fai parte di lui.

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